Per la rubrica “Voce dei Lettori” vi proponiamo un interessante post di Pasquale Camuso. Buona lettura
Nell’ultimo mese, da circa metà aprile in poi, Daesh ha intensificato largamente i propri attacchi, sia sul territorio attiguo al proprio, cioè in Siria e Iraq, sia all’esterno, più precisamente in Yemen, Libia, Somalia, Egitto, Tunisia e, non dimentichiamocelo, Belgio, anche se precedente a questo periodo.In Siria in special modo abbiamo attacchi sul fronte fra terroristi e ribelli del regime e terroristi e Curdi, più circa 8.000 effettivi registrati intorno e all’interno di Aleppo, in attesa probabilmente di attestarsi in città e offrire una strenua difesa, in un ambiente tatticamente favorevole, alle forze regolari siriane.
In Iraq è stato attaccato il fronte curdo, nel tentativo, anche qui pare riuscito, di liberare alcune cittadine dalla presenza avversaria, specialmente nelle zone attorno a Mosul.
All’estero abbiamo report di attacchi kamikaze contro vari obbiettivi, in Libia in particolare si notano movimenti consistenti e acquisizione di territori, in tutti i casi il dispiegamento di forze e risorse appare rinnovato e consistente, e sembra che si possa protrarre nel tempo, del resto il ramadan è vicino e durante questo periodo si moltiplicano gli sforzi, come vuole la jihad.
Considerando i movimenti relativi al gruppo terrorista, quindi, risulta difficile comprendere come in un periodo di ristrettezze economiche così gravi riescano a far fronte alle richieste di risorse per portare avanti queste offensive.
Gli ultimi report riguardo agli attacchi della coalizione però, mostrano una molteplicità di obbiettivi di importanza economica per daesh, colpiti e distrutti, e ci avvertono che questo tipo di azione sta dando grandi frutti, sottraendo risorse petrolifere e addirittura denaro contante, conservato in banche nel territorio dello Stato Islamico. Sicuramente la strategia è vincente, visto che Daesh sembra aver deciso di ridurre fino a ⅔ la paga dei propri soldati volontari, generando malcontento fra questi a causa del fatto che i “mercenari” provenienti dai paesi africani sarebbero a paga piena.
Il dato però evidentemente è in contrasto almeno parziale su quanto detto prima riguardo gli attacchi in corso, e anche riguardo al materiale e all’equipaggiamento che recentemente è giunto nelle mani dello Stato Islamico.
Un esempio riguarda i famosi manpads FN-6, lanciamissili antiaerei di fabbricazione cinese, transitati attraverso l’Ucraina e la Turchia, per giungere nelle mani dei terroristi. Non si riesce a capire esattamente come sia stato possibile che sistemi d’arma tanto sofisticati siano passati per una frontiera come quella Ucraina, ma si sa per certo che da quest’ultimo stato sono partiti, attraverso un gruppo terroristico islamico stanziale, assieme a ingenti fondi, e arrivato a destinazione: si crede che i terroristi abbiano utilizzato i mezzi e le conoscenze della criminalità russa per ottenere questo successo, che ci mostra con chiarezza come le risorse possano giungere anche da fonti differenti.
Il gruppo terrorista che era riuscito a costruire la rete di contrabbando operava dal Kuwait, che è riuscito a individuare la cellula ed eliminarla, il capo era un terrorista libanese, la cellula era composta da ulteriori tre siriani, un kuwaitiano e un egiziano, più altri due siriani e un australiano di origine libanese che operavano fuori dal Kuwait. La cellula aveva raccolto ben 1.3 milioni di dollari da inviare ad ISIL.
In realtà alcuni analisti già dichiaravano che il core business di Daesh non è quello del petrolio, che per motivi tecnici rappresenta sicuramente un’ottima entrata, ma non è affidabile: richiede infatti personale specializzato e macchinari costosi, che per l’appunto sono esposti all’attacco aereo, oltre al fatto che è poi necessario riuscire a contrabbandare il prodotto.
Proprio sul punto poi del contrabbando, c’è una precisazione da fare, unita ad una domanda da porsi: per quale motivo si colpiscono gli estrattori di petrolio, invece di sanzionare i paesi che acquistano lo stesso ed evitare quindi la commercializzazione del prodotto, oppure colpire i convogli che lo trasportano, piani che costerebbero meno denaro e fatica per essere attuati?
Certo, i convogli in realtà rappresentano una fonte di pericolo per gli attacchi aerei, in quanto sicuramente difesi, ma come è possibile che a questo punto ancora non si siano realmente individuati e sanzionati i Paesi che collaborano coi terroristi? In fondo individuarli non è affatto difficile, dato che i territori di Daesh confinano con pochi Stati che potrebbero accettare tali compromessi e non sono invece nemici del gruppo radicale.
Come dicevamo, gli analisti sono concordi sul fatto che i core business di Daesh siano in realtà il traffico di opere d’arte e i rapimenti a scopo estorsivo. Nel solo 2014 si stima che i riscatti abbiano fruttato oltre 20 milioni di dollari ad ISIL, mentre la stima sul traffico di opere d’arte e storiche è praticamente impossibile da determinare.
E’ importante ricordare poi che ISIL si comporta esattamente come uno Stato, nei suoi confini, imponendo e raccogliendo con successo tasse, anche sotto forma di vere e proprie estorsioni. Le forme economiche dello Stato del Levante in realtà sono paragonabili a quelle del terzo mondo, come il Cameroon o la Costa d’Avorio, ma le tasse rappresentano un metodo di raccolta fondi per cui l’unico modo di diminuirle rappresenta la riduzione di territori e popolosità delle aree acquisite. Analisi approfondite arrivano a supporre che ISIL, come Stato, riesca a spendere qualcosa come 3 miliardi di dollari per le loro attività militari: questo equivale a circa un terzo di quanto l’Iraq spendeva pre-guerra.
Nonostante la considerazione di cui sopra, e il fatto che, proiettando questi dati nel futuro, la situazione dello Stato Islamico sia tutt’altro che rosea a causa della bassissima capacità di crescita dello stesso, non si può affermare che si possa anche prevedere un’inversione di tendenza, questo per affermare che colpire alcuni obbiettivi economicamente sensibili crea una aspettativa probabilmente errata rispetto alla reale potenzialità.
A questi aspetti si deve aggiungere il fatto che ISIL non è un normale Stato e il finanziamento tramite azioni illecite è considerato più che normale, è una necessità. Se all’interno dei confini è (teoricamente) vietata la vendita di alcool e droga, specie per quest’ultima il traffico all’estero è consentito, anzi incentivato come “forma di lotta alternativa” al nemico che, scioccamente, ne fa uso. Si conoscono inoltre intere squadre che si occupano di hacking e cybertruffe da cui traggono denaro.
Tutto questo non tiene poi conto della fluidità dei confini di Daesh, che anche se territorialmente è un elemento dai netti confini per noi, non lo è per gli appartenenti allo stesso. Come mostrano le azioni condotte in questo periodo, per il terrorista risiedere in Siria o in Somalia, Tunisia, Libia o Egitto è indifferente: i confini territoriali sono evanescenti, in special modo finché il Corridoio Islamico è disponibile e attivo, permettendo facile movimento dall’Africa occidentale fino all’India di mezzi, uomini e anche denaro e ricchezze.
Emblematici poi sono i casi, come quello italiano, in cui associazioni raccoglievano denaro a scopo umanitario per poi invece destinarli allo Stato Islamico, oppure la richiesta di chiarimenti da parte di un parlamentare turco al proprio Governo, riguardo chiarimenti sul possibile finanziamento a Daesh operato dal proprio Stato, mozione respinta a causa del fatto che i dati a riguardo sarebbero secretati.
Se valutiamo questi aspetti nella loro completezza, possiamo capire il motivo per cui, nonostante i report riguardo i successi della coalizione sembrino rosei, lasciano molti dubbi sulla reale portata ed utilità delle azioni finora condotte: il motivo per cui si registra una mancanza di fondi in ISIL può essere dovuto a situazioni contingenti e del tutto momentanee, che almeno in parte potrebbero essere dovute sì ai successi dei bombardamenti dei pozzi petroliferi, successi che potrebbero in seguito essere eliminati del tutto con una ulteriore diversificazione o intensificazione della raccolta tramite gli altri metodi analizzati.
Un punto interessante da visualizzare è anche l’aspetto psicologico della mancanza di denaro: se è vero che si riportano incidenti fra le varie brigate e tribù di appartenenza dei militanti, è anche vero che si consolidano posizioni a causa del timore, che i militanti stessi finiscono col subire un processo di selezione in questo modo, riguardante i loro veri intenti: quelli che restano potrebbero essere i più feroci e agguerriti, disposti a combattere anche solo per non soccombere, quindi in grado di una risposta decisamente più violenta.
Con tutta probabilità queste strategie di attacco fiaccano sì la capacità reattiva dello Stato Islamico, ma possono farlo solo fino a che possono colpire il ventre molle, lasciando però intatto il nucleo più duro del terrorismo di matrice islamica e, probabilmente, rafforzandolo.
Quali ulteriori soluzioni ci si prospettano, quindi?
Intanto, il metodo migliore è quello di ridurre al minimo l’apporto umano allo Stato Islamico, sia in termini di militanti sia di popolazione sottoposta, quindi capire che sono necessarie azioni molto più incisive nei confronti di ISIL, in special modo colpire coloro che rappresentano una risorsa tecnica, quelle persone in grado di produrre esplosivi ed armamenti, di agire per procacciare fondi e addestrare gli uomini, punto su cui Daesh risulta finora davvero in difficoltà.
Il contenimento delle capacità dello Stato Islamico può rappresentare a lungo termine una strategia non vincente ma che consolida lo stesso e gli lascia tempo e capacità di colmare le proprie lacune, prospettiva decisamente pericolosa.