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Un blocco navale per il petrolio di Kim? La Cina posta dinnanzi ad un bivio

Geopolitica

Namp’o questo il nome che dovrete ricordare perché è da questo terminal marittimo che arriva in Corea del Nord la gran parte del petrolio indispensabile alla sopravvivenza e allo sviluppo della nazione guidata da Kim Jong Un.
Molti pensano che le forniture di greggio arrivino in Corea via terra dal confine cinese, ma in realtà non è così: è il mare la grande via di commercio utilizzata da Pyongyang per far arrivare nel paese energia, prodotti elettronici, componentistica e quei pochi beni non indispensabili alla sussistenza destinati principalmente all’élite nord-coreana. Il confine terrestre con la Cina non è caratterizzato da ampie arterie dedicate al commercio, bensì da vie di comunicazione sempre affollate e sottodimensionate per le necessità della Corea del Nord; i controlli al confine poi sono molto stringenti e causano tempi di attesa non sempre ben definibili, spesso a causa dei protocolli adottati per impedire la fuga di cittadini nord-coreani verso la Cina stessa.
Ed è sempre a Namp’o che la Corea del Nord sta costruendo un nuovo terminal petrolifero per ricevere le forniture di greggio che originano dal Medio Oriente.
Ora le Nazioni Unite hanno deciso un embargo molto più stringente contro le importazioni di greggio verso la Corea del Nord, una decisione che dovrebbe mettere alle corde entro pochi mesi il governo di Kim Jong Un. La nuova risoluzione blocca, o vorrebbe bloccare, anche i trasferimenti da nave a nave in acque internazionali, metodo usato con grande frequenza da Kim per limitare gli effetti delle precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che miravano allo stesso risultato ricercato oggi: affamare energeticamente parlando la Corea del Nord.
Il Consiglio di sicurezza ha escluso ogni altra forma di pressione contro Pyongyang ed non ha considerato la possibilità di mettere in atto un blocco navale per impedire fisicamente l’arrivo del petrolio a Namp’o.
Sia la Russia che la Cina si sono opposte all’ipotesi di questo blocco navale nel timore di una rapida escalation nella regione, ma anche per non indebolire oltre misura Kim Jong Un.
Appare ormai evidente che né Pechino né Mosca hanno interesse ad osservare la caduta di un vero nemico degli Stati Uniti, e permettere quindi a Washington di concentrare le proprie forze su altri scacchieri.
Appare sempre più probabile che gli sforzi diplomatici, vista l’attuale posizione politica di Cina e Russia, non saranno in grado di “denuclearizzare” la Corea del Nord; anzi, la Corea di Kim si avvia ad entrare in possesso di armi atomiche e missili balistici in grado di minacciare l’intero emisfero settentrionale.
Se queste sono le prospettive, un intervento militare americano è sempre più probabile. Non bisogna però immaginare invasioni via terra o battaglie di carri armati, bensì una campagna aerea di grande intensità e breve durata. Una campagna che potrebbe vedere l’impiego di un ventaglio incredibilmente ampio di armi offensive, e che potrebbe segnare una svolta nel concetto stesso di guerra moderna.
Ma quando vengono liberati i mastini della guerra nessuno sa con certezza contro chi o contro cosa essi sfogheranno la propria cieca violenza. Una guerra in Corea se iniziata con troppa “morbidezza” rischia di diventare una battaglia di fanteria di proporzioni enormi, se condotta con troppa “energia” potrebbe innescare la reazione scomposta di
Cina e Russia. Difficile trovare il giusto compromesso tra forza e ragione, tra armi convenzionali e armi nucleari, tra il desiderio di vincere senza pagare un alto prezzo di vite umane e il rischio di innescare una spirale non controllabile da nessuno.

Storm clouds are gathering over the Korean Peninsula

James Mattis Segretario alla Difesa degli Stati Uniti d’America. Quartier Generale 82 divisione aviotrasportata americana, 22 dicembre 2017.

I hope I’m wrong, but there’s a war coming

Gen. Robert Neller, Capo di Stato Maggiore corpo dei Marines. Senato degli Stati Uniti, 23 dicembre 2017.