Solidarietà o competizione? Mutuo soccorso o ricerca di un vantaggio economico e geopolitico? Ricerca di una soluzione comune, oppure studio della migliore strategia per trarre vantaggio dalla situazione attuale generata dal covid-19?
Noi osserviamo elementi che ci fanno pensare che molti stati stiano organizzandosi non tanto per fornire solidarietà ma per acquisire un vantaggio competitivo nel caos creato del COVID-19. Non esiste al momento nessun atto concreto di gratuita solidarietà, ma osserviamo unicamente mosse diplomatiche, politiche, economiche, e per il momento per fortuna non militari, messe in atto dai vari stati e dalle organizzazioni sovranazionali, atte a portare la propria parte in una condizione di vantaggio. Un esempio concreto di questo conflitto e di questa competizione è l’atteggiamento cinese, non solo l’atteggiamento odierno, ma anche il modus operandi durante le prime fasi dell’epidemia.
La Cina a dicembre 2019 ha avuto contezza di una epidemia di un virus respiratorio, denunciato il 9/12/2019 da un giovane medico oculista, ridotto immediatamente al silenzio. Il virus, identificato come un coronavirus, ha manifestato ben presto la sua virulenza. Solo il 23 gennaio alla vigilia del capodanno lunare, quando ormai era impossibile contenere la malattia a livello mondiale, il governo di Pechino ha ordinato un blocco totale ed assoluto della città di Wuhan, blocco che si è esteso a circa 65 milioni di persone nel giro di pochi giorni. Ma mentre la Cina blindava le proprie città, ed imponeva forti restrizioni agli spostamenti interni, tutto l’apparato diplomatico di Pechino, con il supporto evidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, spingeva il mondo intero a non bloccare i collegamenti aerei con la Cina, promettendo ai paesi che avessero mostrato solidarietà a Pechino “Amicizia Imperitura”, ma non ricordando che insieme all’amicizia imperitura avrebbe viaggiato verso i loro paesi anche altro. Pensate cosa sarebbe successo se il virus avesse colpito solamente la Cina e non il resto del mondo. Tutto l’impianto della globalizzazione sino-centrica (perché la nostra globalizzazione, per nostra colpa è sino-centrica) sarebbe crollato, al contrario una diffusione globale di SarsCov-2 avrebbe potuto mitigare moltissimo, anche se non annullare, gli effetti anti-globalisti che comunque sono oggi già in parte evidenti. Ben diverso l’atteggiamento cinese nei confronti delle persone (e sono quasi esclusivamente cinesi) che da tutto il mondo arrivano oggi in Cina, le quali subiscono una ferra quarantena. Ma andiamo oltre. In questi mesi si gioca il nuovo assetto geopolitico mondiale.
Chi sarà in grado di accreditarsi come riferimento politico, economico e finanziario globale potrà non solo attirare verso di sé gli investimenti di stati e grandi fondi, ma avrà la capacità di imporre il proprio modello di sviluppo in quelle aree del pianeta che decideranno di appoggiare uno dei due stati che si affrontano, nei fatti, in questo conflitto. Parliamo naturalmente degli Stati Uniti e della Cina, la quale vede nel COVID-19 la possibilità di sfuggire a quella impostazione di contenimento messa in atto da Washington, e caratterizzata da dazi, contenimento militare e difficoltà di approvvigionamento di materie prime energetiche. Ma la Cina vede anche altro parlando di Covid-19 e della relativa strategia di contenimento. La Cina vede, e propone al mondo intero, il proprio modello di stato dittatoriale prevalere sulle democrazie occidentali, e i numerosi richiami ad “agire come Pechino” formulati spesso anche dai cosiddetti medici cinesi che abbiamo visto in varie conferenze stampa a Roma all’inizio delle restrizioni operate dal governo italiano nel nostro paese. Ecco che la Cina cerca di emergere come modello di gestione del potere e sfruttare il Covid-19 per trasmettere, in particolare all’Europa, ed in particolare all’Italia, che il modello comunista cinese sarebbe la soluzione ai problemi del nostro paese. Eh sì cari amici e lettori, è proprio l’Italia l’obiettivo a medio termine dell’espansionismo cinese verso l’occidente, è l’Italia il campo sul quale Cina e Stati Uniti si scontreranno per cercare il maggior vantaggio possibile dalla competizione innescata dal Covid-19.
I risultati di questo conflitto non saranno evidenti nel brevissimo termine, ma oggi possiamo già osservare come in effetti si stia instaurando, a casa nostra, un abbozzo di variazione della nostra storica alleanza transatlantica, in favore di un avvicinamento alla dittatura cinese. È impressionante la differenza data anche dal mondo dell’informazione relativamente agli “aiuti” cinesi giunti in Italia e agli “aiuti” americani. La propaganda ha messo in luce, non tanto le responsabilità cinesi nel non comunicare in maniera trasparente i dati dell’epidemia, della sua infettività e mortalità, ma ha evidenziato le forniture mediche arrivate con alcuni voli da Pechino, mentre l’ospedale da campo americano e le forniture mediche e logistiche degli Usa sono praticamente passate sotto silenzio.
È per noi evidente che questa attività propagandistica sia funzionale a preparare l’opinione pubblica ad un radicale cambio di alleanze mondiali dell’Italia, un’Italia che non potrà ricorrere agli aiuti straordinari da parte dell’Unione Europea fino al nuovo bilancio settennale che inizierà nel 2021, e che fino ad allora potrà rivolgersi esclusivamente a strumenti ordinari come BEI, SURE e MES. Strumenti che se usati come arma di pressione da altri paesi dell’Unione potrebbero determinare l’implosione economica del nostro paese, aprendo la strada al soccorso rosso cinese, che così troverebbe qualcuno a Roma pronto a consegnare le chiavi del Paese intero alla dittatura cinese.
Speriamo che nessuno a Roma abbia subito i consigli di qualche consulente orientale che oltre alla promessa dell’imperitura amicizia, non abbia anche promesso quel soccorso rosso così necessario a Pechino per fare breccia in quello che una volta noi, orgogliosamente, chiamavamo Occidente.