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Come Trump potrà influenzare la guerra in Siria?

Come Trump potrà influenzare la guerra in Siria?

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Cosa potrebbe cambiare nell’atteggiamento degli Stati Uniti nella Guerra in Siria dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il prossimo 20 Gennaio 2017?
Dobbiamo per prima cosa evidenziare il fatto chi rappresenta il nemico per il presidente eletto Trump. Sicuramente per Donald Trump il Nemico non è la Russia, e il Nemico non è certo il presidente siriano Al Assad. Il nemico per Donald J. Trump è rappresentato da tutte quelle formazioni radicali ed islamiche che compongono la galassia Jihadista che combatte dentro e fuori i confini della Siria, e saranno proprio queste formazioni che subiranno gli effetti del cambio di rotta della Casa Bianca. Tuttavia questa analisi non è certo complessa o di difficile previsione.
La vera incognita riguarda l’atteggiamento dell’amministrazione Trump nei confronti della Turchia e ancor più complesso sarà comprendere le scelte del nuovo presidente americano riguardo le azioni da intraprendere verso l’Iran e l’Hezbollah libanese.
Perché se è vero che la Russia non è un nemico, è altrettanto vero che la teocrazia sciita del Golfo Persico, e e gli alleati di Teheran, sono considerati, e non solo dal presidente eletto, ma da tutta la sua squadra di governo, una minaccia per gli interessi americani nelle regione.
Come combinare quindi l’idea di tollerare la presenza di Al Assad al potere ed evitare che l’Iran diventi egemone nella regione? La soluzione a questo problema non è semplice e non si può avere a nostro avviso per una via di tipo “politico”. Oggi appoggiare Al Assad significa automaticamente insediare l’Iran in Siria, ed è questo il problema più grande per la squadra di Donald Trump. Serve quindi una azione combinata, e cioè di relativo abbandono del teatro siriano, dove continueranno a confrontarsi gli appartenenti alla Galassia Jihadista, la Turchia e la Russia e allo stesso tempo è indispensabile ridurre forza militare, capacità economica e consenso interno di Iran e dell’Hezbollah.
Per ridurre la forza militare, la capacità economica e il consenso interno di Iran ed Hezbollah si dovrà per forza di cosa annullare la cooperazione basata sul Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), rigettare le richieste di sovranità iraniana sullo Stretto di Hormuz (e sulle isole dello Stretto stesso), offrire la rinnovata presenza americana nel Golfo come contropartita ai sauditi della perdita della loro influenza in Siria ed essere conseguentemente pronti ad un confronto militare diretto nelle acque del Golfo Persico.
La fine della Guerra in Siria dovrà, a nostro avviso, avere come contrappasso un confronto militare tra Stati Uniti ed Iran, un conforto funzionale a non dover affrontare tra alcuni anni una Repubblica Islamica dotata di una esercito rinnovato, una forza aerea in grado di confrontarsi degnamente sui cieli domestici, e una galassia di stati e milizie alleati di Teheran che si stanno rafforzando in tutto il Medio Oriente. Una Repubblica Islamica che alla fine del periodo individuato dal JCPOA, ed in affetti già negli ultimi anni dello stesso, potrà essere in grado di marciare a passo spedito verso la costrizione dell’arma atomica, fatto in grado di alterare i rapporti di forza, non solo con gli Stati Uniti e con Israele, ma anche tra l’Iran e la stessa Federazione Russa nella regione del Mar Caspio.
Un confronto militare dal quale la Repubblica Islamica uscisse sconfitta sarebbe anche in grado di dare voce all’opposizione, come sempre accade all’interno dei paesi che si vedono sconfitti sul campo di battaglia, in particolar modo se durante il conflitto venissero colpiti i gangli che sovrintendono al controllo delle masse all’interno dell’Iran.
Oggi come ieri la regione mediorientale è una complessa rete, all’interno della quale la tensione in un punto distorce l’intera struttura della rete stessa.
Questa precaria situazione, che reggeva prima delle rivoluzioni arabe, ora deve trovare un nuovo punto di equilibrio e lo potrà fare solo con una modifica dello status quo odierno che vede l’intera regione del Golfo Persico (fatta eccezione per l’Arabia Saudita), e la Mezzaluna Fertile sul punto di essere sotto il controllo della sorgente potenza iraniana.

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