Sì, parliamo di traffico di uomini, non di immigrazione clandestina, non di profughi, o di migranti, la questione sarebbe troppo complessa per un post sul nostro sito; pensare di fermare in breve tempo gli incontrollati flussi migratori richiederebbe un radicale cambiamento delle politiche in aiuto dei paesi in via di sviluppo e l’assegnazione ad essi di risorse utili a far si che questi paesi possano creare ricchezza al loro interno, mentre per i profughi l’ultima soluzione sarebbe quella di farla finita con guerre per procura giocate ora in Siria ora in Irak.
Oggi parliamo invece di come potrebbe essere possibile interrompere il traffico di esseri umani che viaggiano nel mediterraneo verso Italia e Grecia e poi cercano, sempre con più difficoltà, di distribuirsi in tutti i paesi europei. Parliamo anche di Grecia e non solo di Italia perché anche la Grecia è meta di imponenti flussi migratori in questi ultimi due anni, e con il paese sull’orlo del collasso queste masse umane rappresenterebbero un problema esplosivo per il governo di Atene.
Queste masse umane sono invece una grande fonte di reddito per una galassia di organizzazioni criminali, comuni e di matrice terrorista, che sfruttano il sogno “europeo” di centinaia di migliaia di persone desiderose di raggiungere quella terra promessa chiamata Europa.
Ogni persona paga ai trafficanti una somma compresa tra i 2500 e i 4000 dollari per compiere il viaggio verso l’Italia (o la Grecia). Tenendo presente solo le persone arrivate in Italia lo scorso anno (150000) e considerando la parte inferiore della “forchetta” di prezzo, le organizzazioni dei moderni schiavisti hanno incassato, solo,con i viaggi verso l’Italia, 375 milioni di dollari. Con questi soldi viene sovvenzionata spesso l’attività di milizie e bande armate che potrebbero trasformare presto, molto presto, la Libia in una nuova Somalia, oppure in una nuova provincia del Califfato Islamico di Al Baghdadi.
Il nostro Governo, seppur agendo in buona fede per salvare vite umane, sta purtroppo peggiorando la situazione e aumentando i profitti delle organizzazioni criminali. Alcuni di noi, incluso chi vi scrive, ha occasione spesso di parlare con le persone che arrivano dal Nord Africa sui barconi. Molti di essi mi hanno raccontato di essere stati informati dei rischi della traversata, tuttavia di essere allo stesso tempo resi edotti che la Marina Militare Italiana li avrebbe soccorsi poco dopo la loro partenza, limitando quindi in maniera drastica i rischi della traversata. Questo fatto avrebbe incoraggiato molte di queste persone a partire per la Libia, e molti altri oggi nei paesi dell’Africa sub sahariana starebbero valutando concretamente, e anche a seguito delle medesime “garanzie”, di partire.
Preso atto di tale situazione riteniamo che il soccorso in mare alle persone che partono dalla Libia non deve essere interrotto, ma deve essere eseguito all’interno delle acque territoriali libiche, che questo ai libici piaccia oppure no. Dopo il soccorso le persone a bordo dei barconi, gommoni, ecc. vanno riaccompagnate in Libia, senza se e senza ma. In Libia vanno allestite zone sicure ove posano essere ospitati e gestiti, con l’assistenza medica necessaria, campi profughi di identificazione personale.
In questi campi i profughi di guerra potranno ricevere un permesso di soggiorno per l’Europa e essere rapidamente accompagnati per via aerea in tutti i paesi dell’Unione, secondo un sistema di quote che la politica dovrà decidere.
Gli immigrati economici andranno riaccompagnati nei paesi di origine.
Questo tipo di approccio spegnerà il desiderio di moltissimi immigrati economici irregolari e garantirà un salvacondotto per i profughi di guerra.
Esiste però un solo problema. La Libia è uno stato fallito, senza governo ed in mano, per gran parte, a milizie irregolari. Questo a causa della scellerata scelta di guerra dell’Europa e degli USA contro il regime di Gheddafi, guerra combattuta senza poi assicurare una adeguata transizione.
Per mettere in atto la nostra proposta serve quindi portare ordine nella Libia, o perlomeno i una parte di essa. Ció sarà possibile solo con una massiccia operazione militare occidentale. Scordatevi il blocco navale, dimenticate i famosi 5000 uomini della proposta missione italiana in Libia. I tempi sono cambiati, e oggi nella geopolitica cambino in fretta. Il blocco navale non è attuabile contro i barconi dei clandestini e dei profughi, il blocco navale servirebbe solo per non far giungere alle milizie terroriste rifornimenti via mare. Senza considerare i problemi di “ordine” a bordo delle nostre unità quando gli immigrati capiranno che tornano in Libia, pensate all’accoglienza che le nostre navi riceverebbero sottocosta da parte delle milizie che vedono svanire nel nulla i loro guadagni milionari. Sarebbe una accoglienza ritmata dall’artiglieria e forse dai missili antinave portatili dell’ex regime di Gheddafi.
Servono quindi truppe a terra che possano controllare ampie aree della Libia, assicurare un ferreo controllo dei porti e delle infrastrutture strategiche, servono 80/100000 uomini per una operazione di questo tipo, serve l’Europa, e servirebbe l’aiuto della NATO e della Russia.
Ma tutto ciò non avverrà, perché il focus dell’Europa, della Nato e degli USA, è il contenimento della Russia, e l’obiettivo delle Russia è evitare d trovarsi la NATO a Kharkov o a Donetsk; del Mediteranno centrale, ai piani alti, non importa a nessuno.
Cosa fare quindi?
Dobbiamo agire con le nostre forze e non considerare della partita gli alleati, che oggi non hanno interesse a focalizzare l’opinione pubblica dei loro paesi in una azione in Nord Africa. Per agire con le nostre forze dovremo ritirare, con effetto immediato, tutti i nostri contingenti militari impiegati in missione per conto delle Nazioni Unite (Organizzazione che non si occupa nei fatti degli interessi italiani): Libano e Afghanistan primi tra tutti. Dovremo stipulare una alleanza con una delle fazioni impegnate nella guerra in Egitto, ed a nostro parere con il governo di Tobruk, dovremo anche richiamare alle armi la parte più professionale della nostra riserva e organizzare un reclutamento volontario per 30000 unità, nel caso non si avesse una risposta sufficiente richiamare alla leva i restanti uomini per compiti di seconda linea, mansioni fondamentali in una operazione a medio lungo termine in teatro libico.
Questo intervento avrebbe un costo monetario stimato in 5/7 miliardi di euro per ogni anno di operazione e un costo in termini di vite umane che stimiamo quattro/cinque volte più oneroso rispetto alle nostre perdite in Afghanistan.
Una tale operazione avrebbe però il merito, non solo di fermare il traffico di esseri umani nel mediterraneo (fatto che a posteriori diverrebbe obiettivo secondario), ma potrebbe stabilizzare la situazione libica, stroncare le velleità di potere del Califfato sulle sponde del mediterraneo, garantire all’Italia un forte alleato a Tripoli, assicurare al nostro paese energia indispensabile alla nostra economia, fornire un terreno per nuove commesse alle industrie nazionali che sarebbero quasi monopoliste nella ricostruzione del paese. I benefici a medio/lungo termine di tale operazione sarebbero molto superiori ai costi economici. Per quanto riguarda i costi in vite umane, anche la perdita di un solo uomo per noi è un fatto talmente drammatico da non essere quantificabile, tuttavia tale operazione richiederà il sangue di molti individui e ciò non a causa dell’operazione stessa ma degli antefatti politici e militari che ci hanno portato a tale intervento.
Pensiamo tuttavia che difficilmente tale operazione possa essere autorizzata dal nostro governo. Troppo alto il rischio politico per gli esponenti oggi al potere, troppe le pressioni internazionali che spingono a focalizzarci sulla Guerra in Ucraina e al contenimento della Russia, ma troppo alta (a dispetto delle dichiarazioni roboanti sulle accelerazioni governative) l’ignavia sulle scelte strategiche di politica estera che fluttua oggi (non per colpa di Paolo Gentiloni, a nostro avviso un ottimo ministro degli Esteri) tra l’interesse individuale degli alleati ed il nostro interesse nazionale, sempre posto negli ultimi anni in secondo piano rispetto agli interessi degli alleati.
La situazione peggiora signori del governo, peggiora ogni mese che voi attendete senza prendere decisioni concret,e e tra poco nemmeno il nostro intervento salverà la Libia, e l’Italia, dall’incubo di uno stato federato al Califfato alle porte di casa.
È l’ultima chiamata signori, cercate di rispondere.
Addendum
Poi naturalmente serve una exit strategy ma a quella avevamo già pensato. La trovate qui : La soluzione politico-strategica necessaria ad un intervento militare italiano in Libia