Nel luglio di quest’anno, seguendo la riunione delle commissione Esteri e Difesa del Senato, il nostro sito aveva dato notizia del futuro dispiegamento in Lettonia di una compagnia dell’esercito italiano, una misura decisa a sorpresa dal premier Renzi al vertice Nato che si era svolto poco tempo prima, alla presenza del presidente americano Obama. Il nostro presidente del Consiglio, non voleva mancare ad una operazione della nostra alleanza militare e, spiazzando molti, ha annunciato la nostra partecipazione al contingente di 4000 uomini che presidierà la Lettonia.
I nostri militari saranno quindi inquadrati sotto il comando canadese e la loro funzione difensiva, così come quella dei 3840 canadesi sarà esclusivamente politica e simbolica.
Il contingente in Lettonia, così come gli altri tre della stessa dimensione in Estonia, Lituania e Polonia, ha la missione di scoraggiare un ipotetico intervento militare russo nella regione. Lo scopo di inviare 16000 uomini sul fianco est dell’alleanza rappresenta la volontà degli Stati Uniti di rassicurare gli alleati orientali riguardo alla volontà di applicare il concetto di difesa collettiva in caso di attacco. Se una battaglia dovesse mai scoppiare nel baltico, oppure in Polonia, le truppe della Nato verrebbero conivolte, fungendo così da “garanzia” per rispetto all’applicazione dell’aritcolo 5 della Carta di Washington.
La prospettiva russa riguardante questo dispiegamento però può essere differente, e deve essere ricollegata alla situazione in Ucraina.
Secondo il nostro punto di vista Mosca potrebbe guardare alla presenza di 16000 uomini della Nato nel Baltico come ad strumento militare funzionale a supportare lo sforzo bellico americano, caso di conflitto a tutto campo in Ucriana. Un conflitto che potrebbe vedere contrapposti quasi direttamente, come oggi accade in Siria, Mosca e Washington.
Dispiegando 1600 uomini pronti al combattimento nel Baltico, i quali potrebbero essere rinforzati nel giro di pochissime ore da parte della “Spearhead Force” della Nato (5000 uomini in grado di dispiegarsi ed essere pronti a la combattimento nel giro di 2/5 giorni in ogni punto d’Europa), la Nato costringe la Russia a mantenere ai confini con Tallin e Riga una forza convenzionale con rapida capacità di riposta, e allo stesso tempo impedisce l’invio di queste forze sul fronte Ucriano.
Ecco che la nostra presenza in Lettonia genererà nei russi un forte senso di frustrazione perché, sebbene sulla carta il dispiegamento sia completamente difensivo, esso altera i rapporti di forza sul fronte ucriano.
Questo dispiegamento è quindi per noi un’opportunità oppure un rischio? Alla domanda non si può rispondere senza conoscere la strategia, a medio e lungo termine, del nostro governo. Nel caso in cui, come sembra a noi osservatori, Renzi abbia puntato tutto su un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti questa mossa é una opportunità, così come è una opportunità aver inviato, senza una discussione parlamentare, i nostri uomini in guerra sul fronte di Mosul, una opportunità se il Governo ha chiarito con Obama le contropartite strategiche per l’Italia.
Ma se l’invio dei nostri uomini in Lettonia, oppure in Iraq, è funzionale, non tanto ad un ritorno di tipo strategico per i nostro paese (commesse, appoggio in sede internazionale per nostre rivendicazioni economiche, privilegi sulle forniture energetiche ecc.), ma ottiene come contropartita solo un aiuto per il mantenimento del potere a Roma, allora questo impegno militare italiano è un rischio, perché storicamente le priorità dell’alleato americano cambiano rapidamente, e l’amico di oggi spesso diventa il capro espiatorio di domani.
Se l’appoggio incondizionato all’America di Obama si basa solo sull’ endorsements rappresentato da una cena ufficiale alla Casa Bianca, questa strategia è un rischio, perché anche in un mondo globalizzato la geografia è un fattore chiave della strategia, e da sempre il nostro vicino, con il quale confrontarsi, combattersi o collaborare è la Russia, non solo esclusivamente gli Stati Uniti di Barack Obama, così come ci sembra abbia pensato chi oggi a Roma rapprensta il nostro decisore.