La Casa Bianca sembra avere un obiettivo chiaro e definito: impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari, non solo per i prossimi dieci anni, ma in maniera definitiva. Questa strategia affonda le sue basi negli errori commessi dalle precedenti amministrazioni americane nei confronti della Corea del Nord, con la quale la comunità internazionale aveva stipulato degli accordi che “garantivano” la non proliferazione nucleare nella penisola coreana. Tutti ricordiamo la visita del segretario di stato americano Madeleine Albright a Pyongyang, quando l’amministrazione Clinton firmò con il regime di Kim Jong Il un accordo che fu visto da chi vi scrive con gradissimo scetticismo, ma che all’opinione pubblica fu spacciato per un successo occidentale. Kim Jong Il trasmise in mondovisione le immagini della demolizione (naturalmente a colpi di esplosivi) delle torri di raffreddamento in cemento armato dei suoi reattori sperimentali a Yongbyon. Una trovata spettacolare, che però rappresentava solo una bella trovata teatrale. Demolire le torri di raffreddamento lasciava completamente intatto il potenziale nucleare della Corea del Nord, ma dava la possibilità alla propaganda di Pyongyang di gridare al mondo la propria buonafede relativamente all’accordo siglato. La Corea dei Kim si impegnava a non lavorare all’arma atomica, in cambio di aiuti economici, alimentari ed energetici. Sappiamo tutti come è finita: Kim Jong Un ha portato a termine i progetti del padre, le torri di raffreddamento dei reattori sperimentali sono state ricostruite in poche settimane e nell’agosto 2017 la prima bomba all’idrogeno della Corea del Nord è esplosa in un test sotterraneo.
Parallelamente allo sviluppo nucleare, la Corea del Nord ha proseguito, con estremo successo, nella ricerca relativa ai vettori missilistici a lungo raggio. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha proibito ai nord-coreani di lanciare qualsiasi vettore missilistico, ma le parole delle Nazioni Unite arrivano come un debole sussurro impercettibile alle orecchie di Kim Jong Il. Oggi, nonostante le condanne e le risoluzioni, la Corea del Nord dispone di vettori a lungo raggio in grado di colpire il Giappone in 7 minuti, l’isola americana di Guam in 11 e le isole Hawaii in 18.
Non c’è che dire: la scelta della soluzione diplomatica e della fiducia nella dittatura nord-coreana ha dato i suoi frutti.
Guardiamo ora all’Iran.
La teocrazia iraniana degli Ayatollah ha cercato, proprio come la Corea del Nord, di sviluppare un’arma atomica seguendo sia la via dell’uranio, sia quella più complessa, ma molto più utile a fini bellici, del plutonio. Dopo la creazione di miniere di uranio, centri di raffinazione ed arricchimento del minerale e la costruzione di un reattore ad acqua pesante, nonché un incredibile investimento in un “centro di ricerca” fortificato e realizzato nel cuore stesso di una montagna, l’Iran ha raggiunto con l’amministrazione Obama, un accordo per la “rinuncia” all’arma atomica.
L’accordo in questione non tocca in alcun modo le capacità nucleari della Repubblica Islamica dell’Iran, ma allo stesso tempo rimuove le sanzioni economiche in capo a Teheran, permette la ripresa dei commerci tra l’Iran e l’occidente e lo sblocco dei beni iraniani presenti in occidente.
Ma dopo la stipula dell’accordo tra il gruppo del 5+1 e l’Iran sul dossier nucleare, Teheran ha ripreso lo sviluppo dei vettori balistici a medio e lungo raggio. Il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva già proibito questa attività a Teheran, ma anche in questo caso, visto il grande fragore dei mercati persiani di Teheran, le parole di condanna degli ambasciatori che siedono alle Nazioni Unite non sono state udite dei vertici della teocrazia iraniana.
Quanto sono simili i racconti relativi alla Corea del Nord e all’Iran quando si parla di armi atomiche e missili balistici.
Visto questo parallelismo, è nostra ferma opinione che il presidente Trump abbia intenzione di denunciare l’accordo relativo al nucleare iraniano, anche se nei fatti questa sua dichiarazione non sarà più in grado di ripristinare le sanzioni economiche internazionali e ridurre i legami dell’Iran con le decine di paesi che in questi anni hanno stretto accordi di cooperazione e partnership commerciali con Teheran.
Per fermare la corsa al nucleare iraniano non sarà possibile quindi contare unicamente sulla diplomazia.
Oggi non è più possibile privare la Corea del Nord delle sue armi atomiche, ma è ancora fattibile impedire che l’Iran si possa dotare delle armi atomiche. A tal fine, perché il presidente Trump possa riuscire nel suo scopo di bloccare lo sviluppo militare dell’Iran, il potere dissuasivo della diplomazia dovrà essere sostenuto dalla capacità di deterrenza delle forze armate americane. Trump dovrà ripristinare il potere di deterrenza americano e forse per lui l’unica opzione possibile potrebbe essere quella di utilizzare contro uno dei suoi principali nemici tutta la potenza dell’apparato miliare americano.
Dire chi sarà questo nemico oggi non è semplice. Potrebbe essere la Corea del Nord, potrebbe essere la Siria di Al Assad, potrebbero essere gli Houti dello Yemen o lo stesso Iran.
Interrogato dai giornalisti che gli chiedevano cosa accadrà dopo la sua probabile denuncia dell’accordo sul nucleare iraniano, il presidente americano ha detto:
“You guys know what this represents?” (Sapete cosa rappresenta questo “la decisione di denunciare l’accordo con l’Iran ndr”)
“Tell us” (ce lo dica) gli ha risposto un cronista
“Maybe it’s the calm before the storm” (potrebbe essere la calma prima della tempesta)
E se la nostra analisi è corretta…The Storm is Coming