Habemus Papam. E la fumata bianca è arrivata celermente, incontrovertibile. Nonostante tensioni ed aperti scontri politico-diplomatici, inefficienze e stalli di vario genere, crisi regionali e globali che rischiano di degenerare in aperti conflitti militari tra potenze, il Consiglio di Sicurezza si è espresso alla quasi unanimità. Antonio Guterres, ex Primo Ministro del Portogallo dal 1995 al 2002 ed ex Alto Commissario ONU per i rifugiati dal 2005 al 2015 sarà il prossimo Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il 31 dicembre 2016 Ban Ki Moon terminerà il suo secondo mandato alla testa del Segretariato ONU ed entro la fine del mese di ottobre l’Assemblea Generale (con una maggioranza semplice dei presenti e votanti) dovrà ufficializzare il portoghese quale suo successore. Giuridicamente, in conformità con le disposizioni dell’articolo 97, capitolo XV, dello Statuto delle Nazioni Unite – firmata da 51 membri originari ed adottata per acclamazione a San Francisco il 26 giugno 1945 – “Il Segretario Generale è nominato dall’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza”. Seppur il processo di selezione abbia subito evoluzioni e numerosi tentativi di riforma nel corso degli anni, e posta la prassi consolidata che il Consiglio di Sicurezza fornisca all’Assemblea un solo nome evitando la discussione e rendendo il consesso una mera ratifica della decisione, il principio regolatore del governo e del funzionamento dell’Organizzazione stessa nel complesso non è intaccato: impossibile, infatti, prescindere dalla totale convergenza dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Gran Bretagna) del CdS. E dal momento che l’Assemblea non ha mai rigettato la proposta del Consiglio di Sicurezza eccezion fatta per il 1950 – caso in cui la prima optò autonomamente per il rinnovo del norvegese Trygve Lie data l’impasse regnante tra Usa e Unione Sovietica – è diffusa ed affermata convinzione che la decisione del Segretario sia esclusiva prerogativa del CdS. D’altronde, nonostante bizzarre proposte avanzate da diplomatici giordani, non è nemmeno pensabile immaginare le Nazioni Unite senza il meccanismo del veto da parte dei cinque membri permanenti in CdS. Consuetudini intrinseche, tuttavia, si sono fuse con elementi di novità recentemente introdotti: oltre al principio della rotazione per aree geografiche approvato nel 1997 e maggior trasparenza, la Risoluzione 69/321 del 2015 stabilisce che i candidati a ruolo di Segretario Generale siano espressamente appoggiati dai governi degli Stati di provenienza e facciano conoscere – attraverso un “vision statement” ed incontri informali di dibattito – orizzonti ideologici e politici circa lo sviluppo futuro dell’Organizzazione. Per la prima volta della storia delle Nazioni Unite, dunque, è stato previsto un meccanismo trasparente per far conoscere al pubblico i singoli candidati e i loro programmi elaborati per l’evoluzione dell’Organizzazione. Il dossier presentato da Guterres, forse la sua carta vincente, dal titolo “Challenges and Opportunities for the United Nations”, predisponeva la capacità per l’ONU di far fronte a tre tipologie di sfide: sicurezza globale e conseguimento della pace, sviluppo sostenibile – perseguimento dell’agenda 2030 – e diritti umani. L’esperienza con la migrazione del portoghese può essere vista di buon occhio a Roma: è posta, infatti, molta enfasi sulla grave crisi migratoria attuale, problema caro e pressante per l’Italia d’oggi. Oltre ad una maggiore focalizzazione sulla prevenzione, per il Segretario in pectore i destinatari degli aiuti ONU devono essere i principali paesi di destinazione dei rifugiati. Di non minor importanza, Guterres si dichiara pronto ad applicare il principio della parità di genere nella distribuzione degli incarichi e nelle nomine dei rappresentanti speciali; un principio finora largamente disatteso. E proprio le donne hanno avuto una grande rilevanza nella lunga e dura competizione, ma nonostante le sei candidature femminili, a spuntarla è stato l’ex premier di Lisbona. Irina Bokova (Bulgaria) direttrice dell’UNESCO, Helen Clark (Nuova Zelanda) per nove anni Primo Ministro kiwi, Natalia Gherman (Moldova) vice-primo ministro, Susanna Malcorra (Argentina) Ministro degli Esteri del governo Macrì; nessuna tra le donne favorite elencate ha potuto qualcosa contro Guterres. Tra gli uomini candidati, Danilo Turk (Slovenia) già presidente della Repubblica ed ambasciatore, Miroslav Lajčák (Slovacchia) attuale Ministro degli Esteri del governo Fico, Vuk Jeremić (Serbia) già Presidente dell’Assemblea Generale. Oltre a sfumare l’ipotesi della nomina di una donna, dunque, per l’ennesima volta non verrà rappresentato il blocco dei paesi dell’Europa Orientale. Posta l’elevata politicizzazione del processo era lecito aspettarsi che ciascun membro permanente agisse per favorire l’elezione di una figura funzionale ai propri interessi geopolitici e geostrategici; eppure tanto la Russia, costretta a rinunciare ad un rappresentante dell’est Europa, quanto la Cina, che si narra potrebbe offrire il proprio appoggio purché in cambio venga assegnato ad un diplomatico cinese la guida del Peacekeeping, si sono espresse a favore di un cittadino di un Paese NATO e rientrante a pieno regime nell’orbita influenzale degli Stati Uniti – veti incrociati vedevano Washington contraria all’elezione di Jeremić perché espressamente contrario all’indipendenza del Kosovo ed ostile alla NATO e Londra, causa contenzioso Falkland/Malvinas, contraria all’Argentina Malcorra. Insomma, un europeista (un segnale contro la dis-integrazione dell’Unione Europea ed una frecciata contro la Brexit? Per La Gran Bretagna, d’altronde, lo strumento di maggior influenza globale risiede nel diritto di veto di cui dispone in Consiglio di Sicurezza. Del rafforzamento dell’ONU ne gioverebbe in primis proprio Londra.) e membro del Partito Socialista, alla guida dell’Organizzazione. Seppur i poteri del Segretariato Generale siano sostanzialmente limitati, l’esperienza, l’energia e le comprovate abilità diplomatiche di Guterres devono essere impiegate nelle numerose sfide che attendono il portoghese: in primo luogo la Siria, crisi di maggior impatto e che rischia di divenire la vergogna dell’intera comunità internazionale; poi il Sudan, lo Yemen e le costanti provocazioni nucleari della Corea del Nord. Ed infine, nella riabilitazione dei caschi blu dopo le pesanti accuse di abusi sessuali. Il quinquennio che si aprirà il 1 gennaio 2017 sarà molto duro.