Oggi 13 dicembre 2016 finisce la battaglia urbana di Aleppo. I circa 3000/3500 combattenti asserragliati in un piccolo fazzoletto di appena 3 Km quadrati si sono arresi ottenendo in cambio la possibilità di lasciare la città insieme alle loro famiglie, per dirigersi verso Idbil (sotto il controllo degli ex Al Nusra), oppure nella zona nord della Siria sotto il controllo turco.
La forze ribelli, filoturche, siriane e della galassia Jihadista avevano ieri perso il controllo di ciò che restava della sacca di Aleppo Est, e senza più alcuna linea di difesa combattevano in un ristretto nucleo di edifici, che sarebbe stato bersaglio facile per le artiglierie governative, nonchè per i raid aerei siriani e russi. Tale azione, che avrebbe potuto distruggere la ridotta ribelle nel giro di poche ore, avrebbe però determinato la morte certa delle famiglie dei miliziani, che quindi hanno scelto per una resa concordata.
In queste ore, se nulla di eccezionale accadrà, i primi gruppi di guerriglieri e famiglie usciranno da Aleppo sotto la protezione dell’accordo promosso dalla diplomazia russa.
Il nostro gruppo, che ieri mattina aveva annunciato l’imminente caduta della sacca ribelle e che ieri sera aveva confermato il crollo delle linee difensive ribelli, seguirà nei prossimi giorni l’evoluzione della situazione ad Aleppo.
Dobbiamo ricordare che ad ovest della città sono ancora attive formazioni di ribelli ed islamisti relativamente ben organizzati, in possesso di artiglieria, razzi Grad, apparati di comunicazione avanzati e missili anticarro guidati. Queste formazioni potranno mantenere attivo il fronte di Aleppo mentre i governativi dovranno arginare l’attacco dello Stato Islamico portato a Palmira, ed alle installazioni militari comprese tra la storica città siriana e Homs.
La battaglia urbana di Aleppo oggi è finita, ma la città vivrà ancora bombardamenti, attentati, autobombe e dovrà attendere la fine della guerra in Siria e la stabilizzazione del paese per poter essere faticosamente ricostruita, non solo negli edifici, ma anche nella coscienza dei suoi abitanti, abituati da cinque anni a sopravvivere in condizione di guerra continua.