Partiamo da un fatto: l’Iran non permetterà libero accesso agli ispettori di IAEA alle installazioni militari iraniane ritenute strategicamente irrinunciabili e di massima segretezza per la Repubblica Islamica Iraniana.
Detto questo, il presidente americano ha in mano l’appiglio giuridico per certificare la non aderenza di Teheran all’accordo sul nucleare iraniano firmato dalla Repubblica Islamica e dal Gruppo del 5+1.
Secondo la nostra visione dell’attuale situazione, entro il prossimo 15 ottobre, il presidente americano si prepara al cosiddetto “Fix or Nix”, modificare l’accordo oppure denunciarlo.
Trump ha già preso la sua decisione, anche se non l’ha comunicata a nessuno al di fuori della cerchia ristretta dell’alto esecutivo americano. Trump non ha voluto rispondere nemmeno ad una domanda diretta del premier britannico May che al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, durante un bilaterale a porte chiuse, ha chiesto al presidente americano quale fosse la sua decisione in merito al dossier nucleare iraniano. Men che meno Trump affronterà la questione con il presidente francese Macron, che ha affermato la non negoziabilità dell’accordo in questione; stessa posizione per l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, la quale si è spinta oltre, affermando che un solo paese non ha il diritto di retrocedere da un accordo stipulato da una pluralità di soggetti, riproponendo in sede di rapporti extra europei quell’indissolubilità e irrevocabilità dei trattati tanto care a Bruxelles all’interno della UE.
Ma denunciare l’accordo sul programma atomico nucleare non sortirà automaticamente alcun effetto; sarà infatti il Senato degli Stati Uniti che dopo la pronuncia del Presidente avrà 60 giorni di tempo per discutere e deliberare sul ripristino delle sanzioni contro l’Iran. Le sanzioni però saranno unilaterali, l’Unione Europea, la Cina, la Russia e probabilmente la stessa Corea del Sud non ripristineranno alcuna sanzione contro Teheran.
Il principale vulnus dell’accordo firmato a Ginevra il 14 luglio è lo sviluppo temporale delle restrizioni riguardanti l’industrializzazione dei processi produttivi di uranio e plutonio, così come la ricerca e lo sviluppo di tecnologie avanzate nel campo dell’industria atomica. Entro il 2025 ogni limitazione al programma atomico iraniano verrà meno, ed entro il 2020 sarà aperta a Teheran la possibilità di ricerca sulle centrifughe di nuova generazione, sebbene ne sarà limitata la produzione su larga scala fino alla data di scadenza del patto.
Dal 2025 l’Iran avrà carta bianca per sviluppare il suo programma atomico, anche militare, dopo che avrà utilizzato questi dieci anni per stabilizzare la propria economia e organizzare forze armate convenzionali che potrebbero essere le più preparate di tutta le regione del Golfo Persico. In questi anni l’Iran svilupperà anche le sue reti di collaborazione con i partiti e i gruppi sciiti di Siria, Irak, Libano, Yemen, Qatar, Bahrein, Kuwait. L’Iran aumenterà il livello di collaborazione politica economica e militare con partner internazionali quali: Russia, Cina, Venezuela e Corea del Nord.
Chi quindi ragiona pensando solo all’oggi, chi si pone dinanzi a questa problematica ponendo la propria attenzione solo sui contratti per alcune aziende amiche, chi osserva l’Iran come un luogo dove guadagnare qualche soldo facile, perde di vista la natura della teocrazia iraniana, pericolosa per la stabilità dell’area, come lo sarebbe in Europa un Vaticano dotato del potere temporale, oppure come un integralismo sunnita del quale tutti conoscono i rischi. Anche grazie al Califfato l’estremismo teocratico sciita oggi spesso è visto come il volto migliore dell’islam, ma così non è. La teocrazia iraniana è un regime oppressivo per il popolo di Teheran e se domani questa teocrazia sarà in grado di fornire un ombrello atomico alle sue frange più estreme, o ai suoi alleati più radicali, la pace del mondo intero sarà a rischio, e la proliferazione incontrollata di armi atomiche in Medio Oriente sarà un fatto certo.
Cerchiamo di smettere di essere quel popolo di contemporanei che ignora la storia e non si interessa del futuro. Nella contemporaneità vivono i nostri decisori politici, incollati alla poltrona e insensibili al bene del paese, vivono la loro contemporaneità molti commentatori, affezionati allo stipendio più che alla ricerca e la diffusione della verità, o di quello che si ritiene in buona fede essere la verità.
Nell’osservare i programmi di sviluppo strategici bisogna pensare a dieci o a venti anni, non a dieci o venti giorni, la Corea del Nord ne è stato un esempio lampante. Accordi sul disarmo che non disarmavano, patti sulla denuclearizzazione che lasciavano intatto il potenziale ingegneristico e di ricerca, risoluzioni sul bando ai test missilistici senza poteri in caso di (puntuali costanti e continue) violazioni. Questo è stato fatto in Corea del Nord, ottenendo come risultato uno stato instabile e pronto a tutto dotato di armi nucleari.
Se l’accordo sul nucleare iraniano non verrà rivisto o annullato, tra 10 anni saremo noi europei a dover temere le armi atomiche di uno stato guidato dal fanatismo. Armi potenzialmente puntate contro il nostro continente, al primo accenno di dissenso dei nostri stati nei confronti di un singolo alleato iraniano, chiunque esso sia, ovunque esso operi e qualunque cosa esso abbia compiuto contro i nostri interessi.