Un intervento militare per evitare la guerra civile in Libia
In Libia stiamo assistendo ad un vuoto di potere, una assenza di controllo del territorio che apre le porte ad ingerenze straniere nella questione libica. Se così fosse, se dall’esterno una milizia potesse ricevere addestramento ad armamenti, di molto superiori a quelli degli avversari, la situazione muterebbe radicalmente. Le milizie più piccole cercherebbero di unirsi alla milizia vincente, la quale fungerebbe da nucleo di condensazione per la nascita di un fronte in grado di rovesciare il precario governo della Libia. Se ciò accadesse assisteremmo ad una vera e propria guerra civile che metterebbe in pericolo la vita di centinaia di migliaia di persone, genererebbe un’ondata migratoria devastante verso l’Egitto, la Tunisia e l’Italia. Una guerra civile che metterebbe in pericolo la stabilità dell’Egitto stesso perché i fondamentalisti egiziani vedrebbero nella Libia un “Safe Haven” un porto sicuro dal quale condurre attacchi terroristici all’Egitto, un’alternativa quindi al Sinai ormai sotto il controllo dell’esercito Egiziano. Una guerra civile che comprometterebbe certamente le forniture energetiche verso l’Italia, forniture indispensabili per la produzione industriale del nostro paese.
Le forniture energetiche di metano e petrolio libico verso l’Italia sono fondamentali per il mantenimento in efficienza del nostro paese, ancor più durante la stagione invernale e ancor più alla luce dei continui dissapori tra l’Ucraina e la Federazione Russa. Dissapori se non vere e proprie dispute che minacciano le forniture di metano russo all’Europa. Ad ogni inverno queste dispute, ciclicamente, ritornano. E come da copione anche quest’anno la Federazione Russa ha minacciato di interrompere le forniture di metano che transitano dall’Ucraina, se la Repubblica di Kiev non adempierà integralmente ai propri obblighi.
In questo contesto la certezza delle forniture libiche è cruciale. Così come è cruciale l’integrità delle infrastrutture estrattive e di trasporto degli idrocarburi sul suolo libiche, infrastrutture sulle quali l’Italia ha investito attraverso l’Eni ingentissime risorse.
Ed è in nome dei concreti interessi economici italiani in Libia, nonché della non meno importate questione riguardante al sicurezza e la sorte di centinaia di migliaia di libici che l’Italia dovrebbe valutare la possibilità di una azione militare strutturata sul suolo libico.
Le istituzioni sovranazionali dovrebbero autorizzare l’operazione sul suolo Libico e le nazioni che dovrebbero guidare questa missione dovrebbero essere l’Italia, la Francia e l’Egitto, con l’indispensabile supporto dell’Arabia Saudita e della Federazione Russa. Gli Stati Uniti non dovrebbero essere presenti in questa missione. L’America ha dichiarato il mediterraneo e il Medio Oriente una regione di scarso interesse strategico ed alla quale non si intende allocare risorse. La presenza americana, di questa America guidata da Obama, potrebbe solamente minare la buona riuscita dell’operazione ostacolando i progetti di sviluppo che Francia, Italia, Egitto, Arabia Saudita e Federazione Russa potrebbero invece condividere alla luce di un nuovo assetto strategico dopo l’abbandono americano della regione.
Un problema sarà trovare una copertura formale per una tale missione in quanto gli Stati Uniti bloccherebbero al Consiglio di Sicurezza qualsiasi risoluzione che non prevedesse un coinvolgimento decisionale americano nella missione in Libia. Forse l’unica copertura legale alla missione potrebbe essere offerta da una doppia Egida dell’OSCE e della Lega Araba.
In questa situazione non basterà qualche missile ed il supporto aereo, il governo di Tripoli deve poter contare su una forza multinazionale per ristabilire un poco di ordine nel paese. Una missione che non potrà però garantire il futiro e la sicurezza della Libia solamente con la forza delle armi. Contestualmente alla missione militare e di polizia internazionale deve essere pianificata una missione di sviluppo economico per la Libia. Una missione gestita dagli stessi stati che prenderanno parte alla missione in Libia, una missione che dovrà essere affidata in gestione comune a militari e a civili, alle organizzazioni non governative e alle associazioni delle imprese dei paesi partecipanti. Questa missione dovrebbe rappresentare un nuovo standard per le missioni internazionali. Uno standard che dovrebbe prevedere lo sviluppo economico del paese oggetto della missione, non solo lo sfruttamento delle sue risorse. Una missione che dovrebbe ripristinare le autonomie e i diritti delle tribù libiche. Le macro-tribù che formano il tessuto sociale della Libia devono godere di un ampio grado di autonomia e di confini non disegnati tracciando una riga nelle cancelerie europee ma osservando nella realtà la struttura e la storia delle etnie della Libia. Una missione che deve determinare l’uscita dalla povertà del maggior numero possibile di libici, in modo tale che il benessere e il comune obiettivo dello sviluppo e del progresso possa unire una popolazione eterogenea che oggi cerca il proprio beneficio a danno del vicino.
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