I Gilet Gialli tornano protagonisti nelle strade. Macron vacilla
La presidenza Macron vacilla sotto i colpi dei manifestanti che vestono il gilet giallo. Vacilla davanti alla totale mancanza di carisma di un presidente che si è nascosto nel momento della crisi della Repubblica. Vacilla per l’imprevedibilità di comportamento di un uomo che ha fondato un movimento per il cambiamento e che invece è diventato il simbolo personificato della repressione.
Vacilla la Repubblica di Macron, la Repubblica dei Benalla, delle feste sfrenate all’Eliseo a ritmo di rap, del totale disprezzo per la Francia rurale e lavoratrice.
Sono due mesi che migliaia di francesi si riversano nelle strade ogni sabato, incuranti dei lacrimogeni, dei manganelli, dei proiettili di gomma, dei dieci morti tra i manifestanti uccisi da automobili presso i blocchi stradali. Se la rivolta due settimane fa sembrava spegnersi, il 5 gennaio una folla di 35000 persone, estremamente motivate, è scesa in piazza diffondendosi oltre i Campi Elisi e mettendo in crisi la polizia che non era preparata ad un simile scenario.
Il governo francese è debolissimo, il “cerchio magico” del presidente è compromesso dalle dimissioni di uomini chiave che hanno garantito l’ascesa di Macron, le promesse di aiuti fiscali formulate da Macron sono cadute nel vuoto.
Ma chi sono i Gilet Gialli? Difficile rispondere in maniera univoca. Il movimento non si rifà ad alcun partito, non necessita di finanziamenti massicci, non ha un leader riconosciuto ufficialmente o una gerarchia riconosciuta; tuttavia come un esercito ha una “divisa”, si riunisce cantando la Marsigliese, e il suo unico vessillo è la bandiera francese. E’ fuor di dubbio che i media tradizionali di tutta Europa non concedono platea al movimento, non intervistano i suoi componenti, non pubblicizzano le vittime o i feriti, difficilmente trasmettono le dirette delle manifestazioni, e le immagini degli scontri più duri, in particolare nella provincia francese, giungono solo dalla rete. La copertura mediatica è invece massima da parte delle reti informative che fanno capo a Mosca, in particolare RT e Sputnik, che seguono “sul campo” le manifestazioni di Parigi minuto per minuto.
Venerdì 5 è apparso chiaro che la polizia non sarà in grado di controllare le strade della Francia se il numero dei manifestanti dovesse tornare a crescere. Le proteste, che all’inizio erano prevalentemente pacifiche ora si stanno trasformando in rivolte semi-organizzate con divisione degli obiettivi e coordinamento delle azioni. La violenza messa in campo dal ministro degli interni, in particolare quando la protesta sembrava sull’orlo del collasso, ha fatto sì che chi oggi scende in piazza lo faccia con una preparazione mentale allo scontro e con la consapevolezza che non si va a Parigi, a Caen o a Bordeaux solo per sfilare per le strade ma che probabilmente si va direttamente allo scontro con i reparti di polizia e che ogni mezzo ora sia lecito (incluse un carrello elevatore utilizzato per sfondare i portoni dei ministeri) per raggiungere il primo vero scopo di queste proteste: le dimissioni di Macron.
Non sappiamo se Macron si dimetterà oppure no, ma prima del crollo di un capo di stato, di un sovrano, di un dittatore, esiste un passaggio obbligato prima del tracollo. Questo passaggio obbligato è la solitudine, e senza dubbio alcuno oggi Macron è solo, senza un partito alle sue spalle, senza l’opinione pubblica a sostenerlo e presto forse senza più l’appoggio delle forze di sicurezza di Francia…